La riflessione di oggi non è sul ritardo di quindici minuti accumulati in diciotto di percorso.
E nemmeno sull'inesistente treno successivo.
Neppure sulla carenza di posti a sedere.
Oggi riflettevo sulla perfidia dei progettisti, che mi hanno "regalato" nuovi dolori da postura, oltre ai miei.
Ero in piedi, in un ristretto spazio vitale degno di Jaffar (guardare Alladin di Walt Disney) ed ero più storta del Gobbo di Notte Dame grazie a un pavimento pieno di micro gradini e discesine, non riuscivo ad avere le piante dei piedi né parallele né in piano, da poter acquisire un minimo di equilibrio visto che di appigli non c'è l'ombra e non è carino abbarbicarsi a perfetti sconosciuti.
Intorno a me, nuove generazioni di ragazzi sono costretti a ripiegarsi come origami perché l'altezza dei corridoi forse arriva a un metro e novanta (mi ci blocco io a palmo aperto!). I sedili, in compenso, sono sufficientemente alti perché io possa dondolare le gambe.
Soprassediamo sui sempre più rari ripiani sopra i sedili, detti cappelliere, dove ci può stare al massimo un basco.
Compi spesso il viaggio (della speranza?) alla cieca, nel senso che non ci sono finestrini (e spesso nemmeno gli annunci, devi sperare di saper contare le fermate) nei corridoi e anche in certe zone e gli altri sono sovente imbrattati da vandali che si credono Picasso.
Mi sembrava di aver fatto un viaggio indietro nel tempo, quando il tragitto pancia di Ettore - tette della sottoscritta era all'ordine del giorno.